Annie “Londonderry”, la prima donna a compiere il giro del mondo in bicicletta

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Oggi voglio raccontarvi una storia particolare, quella di Annie Cohen Kapchovsky che con lo pseudonimo di Annie Londonderry fu la prima donna a compiere il giro del mondo in bicicletta.

In poco meno di 15 mesi, tra il 1894 e il 1895.

E’ una storia poco conosciuta, dimenticata per anni; fino a quando un suo discendente è riuscito a ricostruirne la vicende grazie ai giornali dell’epoca e alle memorie di famiglia.

Si, all’epoca fece scalpore ma poi l’interesse scemò, per quanto eccezionale era impresa che mal si conciliava con la morale dell’epoca.

Una donna che da sola abbandona tutto per partire alla scoperta del mondo quando da più parti si sbraita che in bici le donne non dovessero proprio andarci beh, capite che si preferì passare oltre.

E’ una bella storia e io non so come raccontarla. La fredda cronaca, il rigore storico? O lasciarmi andare con quei fiocchi che sempre meritano le belle storie?

Non lo so, lascerò scorrere le dita sulla tastiera, vedremo alla fine cosa ne è venuto fuori.

Annie Cohen in Kapchovsky nasce in Lettonia nel 1870 o nel 1871, non è dato sapere con precisione. La famiglia si trasferì negli Stati Uniti quando aveva quattro o cinque anni stabilendosi a Boston.

Nel 1887 morì il padre, dopo una paio di mesi la madre. La sorella maggiore già sposata, Annie si ritrovò da sola col fratello ventenne Bennet a badare ai fratelli più piccini. 

Si sposò un anno dopo con Max, un venditore ambulante, da cui ebbe tre figli. Lei aiutava il ménage familiare vendendo spazi pubblicitari per diversi quotidiani di Boston.

E chissà, forse fu il vivere di questo che le diede l’idea del viaggio.

Le sue origini restano avvolte nel mistero.

Leggenda vuole tutto sia nato da una scommessa che suona più o meno “può, o non può, una donna compiere il giro del mondo in bicicletta come dieci anni prima aveva fatto Thomas Stevens?”

La posta ben 5.000 dollari. O forse 10.000. 

In realtà se la scommessa ci fu o fu solo una invenzione pubblicitaria è un altro dei misteri irrisolti di questa avventura.

Comunque, dopo aver arringato la folla e tenuto nascosto che lasciava a casa un marito e tre figli, per non alienarsi l’opinione pubblica e i tanti sponsor che via via la supporteranno, Annie parte.

Con abile mossa di marketing cambia il proprio nome assumendo quello di Londonderry, in omaggio al suo primo sponsor.

Il 27 giugno 1894, attorno alle 11 antimeridiane, la Londonderry partì dalla Massachusetts State House sulla Beacon Hill. 

Gonna lunga, corsetto, camicia dall’alto colletto, un solo cambio di vestiti e una pistola il suo bagaglio; caricato su una bici da 19 e passa kg, che a Chicago sarà sostituita da una più leggera Sterling. Con telaio da uomo, cose che la obbligò a rivedere l’abbigliamento, optando per calzoni e blusa. Uno scandalo.

Nel suo itinerario verso Chicago, scelse di percorrere strade indicate nelle guide della League of American Wheelmen, che fornivano indicazioni su distanze, condizioni delle strade, punti di riferimento, luoghi di ristoro e alberghi che offrivano sconti ai ciclisti, e rendevano più facile pedalare in compagnia dato che molti altri ciclisti percorrevano le stesse strade. Col bel tempo e le strade in buone condizioni, ella era in grado di tenere una media tra le otto e le dieci miglia al giorno.

Non pensiamo ad Annie come ciclista di lungo corso che decise di coronare un sogno. Questo scricciolo da 45kg per 1.60 aveva imparato a pedalare solo da pochi giorni.

E infatti pare che a Chicago già volesse mollare tutto, l’inverno alle porte, le Montagne Rocciose da valicare per andare in California. Forse fu proprio il cambio di bici, magari la nuova sponsorizzazione, sta di fatto che la Londonderry risalì in sella alla volta di New York e non più verso la costa d’oro.

Qui si imbarcò verso il Vecchio Continente. Giunta a le Havre la burocrazia la ostacolò, le confiscarono la bici, fu derubata, la stampa francese la derise.

Ma Annie aveva carattere.

Pedalando da Parigi a Marsiglia, pare con un solo piede a causa di infortunio e percorrendo alcune tratte in treno, si imbarcò nuovamente.

Fu così che da vapore a treno a bicicletta toccò Alessandria d’Egitto, Alessandria d’Egitto, Colombo, Singapore, Saigon, Hong Kong, Shanghai, Nagasaki e Kobe.

Ormai il suo viaggio era un caso seguito dalla stampa, divisa nei giudizi. Chi la riteneva una truffatrice, chi la osannava. 

A ogni tappa cresceva la folla pronta ad applaudirla.

E anche chi era disposto a sostenerla. In una incessante campagna di finanziamento, vendendo spazi pubblicitari sulla sua bicicletta, fotografie che la ritraevano, spille e, più tardi, intrattenendo conferenze sui suoi viaggi. Quando non era possibile trovare un alloggio a volte dormiva all’aperto, in un fienile o… in un cimitero. Diverse volte fu sul punto di abbandonare la scommessa. I percorsi in bici non solo erano faticosi, ma contorti. Prevedevano l’attraversamento di fiumi, binari e territori desertici.

I detrattori sostenevano che il suo non era un viaggio in bici ma un viaggio con la bici, vista la quantità di treni presi.

Lei non mancò di romanzare le sue avventure, parlando di arresti, incontri esotici, battute di caccia alla tigre. In zone di guerra si inventò reporter, tenne diari che usò per conferenze tornata in patria e così via. Insomma, l’inventiva non le mancava.

Il 9 marzo 1895, la Londonderry salpò da Yokohama, in Giappone, e raggiunse il Golden Gate di San Francisco il 23 marzo. Pedalò verso Los Angeles, e da lì attraverso l’Arizona e il Nuovo Messico raggiunse El Paso. A un certo punto, Annie e una altro ciclista che l’accompagnava per poco non rimasero uccisi da un cavallo imbizzarrito col suo carro. Ne ebbero solo delle ferite lievi, tuttavia ella dichiarò di essere stata colpita e portata in ospedale a Stockton dove avrebbe sputato sangue per due giorni. In effetti, tenne una conferenza nella Mozart Hall di Stockton la sera successiva all’incidente, quindi sembra certo.

Il 12 settembre 1895 la Londonderry arrivò a Chicago, accompagnata da due ciclisti che aveva incontrato a Clinton  e ricevette il premio di 10.000 dollari che le spettava (o 5000). Aveva compiuto il viaggio intorno al mondo in un tempo minore di quattordici giorni di quello che le era accordato. Fu a casa a Boston il 24 settembre, esattamente 15 mesi dopo averla lasciata. Quando pubblicò un resoconto della sua impresa nel numero del New York World del 20 ottobre 1895, sotto lo pseudonimo di Nellie Bly jr. ,l’occhiello del giornale lo descrisse come “il viaggio più straordinario mai intrapreso da una donna”.

E lo fu.

Abile a promuovere se stessa, non v’è dubbio che la sua fu una impresa; ma avvolta nel mistero per tanti aspetti, lei per prima tendeva a esagerare diciamo così, per tenere viva l’attenzione e assicurarsi il supporto degli sponsor.

Durante i suoi viaggi tenne delle conferenze sulle sue avventure, spesso magnificando le sue imprese, che affascinarono i mezzi di comunicazione e rilanciarono la sua popolarità. Ad esempio, in Francia si descrisse come una ricca ereditiera orfana, una studentessa di medicina di Harvard, l’inventrice di un nuovo metodo di stenografia e la nipote di un senatore degli Stati Uniti.

Può questo sminuirla? No, ai miei occhi no.

Però più studio i racconti e le gesta, più vedo che non fu il suo un gesto politico, di ribellione alle convenzioni sociali o istanza verso la parità di genere.

Dopo l’uscita del libro che ne racconta le gesta è stata spesso presa a paradigma proprio di questo.

Certo, ebbe coraggio e nessuno lo nega; sfidò la buona società, e pure questo è innegabile.

Ma lo fece per uscire dalla miseria.

Non indigente ma neanche benestante, vide in questa impresa la possibilità di guadagnarsi di che vivere più che bene e seppe sfruttarla con intelligenza, senso pratico, coraggio e un pizzico di sana follia.  

Seppe fiutare l’aria, rientrata accettò un’offerta per scrivere le sue avventure come “nuova donna” e si stabilì con la famiglia a New York per continuare la sua carriera nel giornalismo. L’articolo iniziava con “Sono una giornalista e una ‘nuova donna’ – se con questo termine s’intende la mia convinzione di poter fare tutto ciò che può fare un uomo.”

Morì dimentica nel 1947, fu commemorata in un necrologio del New York Times, come parte della serie “Overlooked”, dedicata a personaggi la cui morte era passata inosservata, nel novembre del 2019.

Non partì per diventare un simbolo, lo divenne suo malgrado; ebbe l’intelligenza di farlo suo.

Comunque la si voglia pensare, Annie merita il mio rispetto. E quello di tutti.

Buone pedalate

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